“FRATELLINO E FRATELLINA”
Un piccolo teatro, un ambiente raccolto, familiare e accogliente, un pubblico rispettoso e interessato, una platea poco capiente ma piena di persone di tutte le età. Un delicatissimo vociare ordinato ha accompagnato i momenti prima dell’inizio dello spettacolo. Queste sono le mie prime impressioni relative alla visione dello spettacolo “Fratellino fratellina” degli “Asini Bardasci”del 26 gennaio all’interno del festival TESPI. Questi ragazzini (asini bardasci in marchigiano arcaico) ovvero Filippo Paolasini e Paola Ricci sono attori autentici nel mostrarsi al pubblico e sempre in cerca di contaminazioni generate dall’incontro con l’altro Se è vero che il teatro sociale pone una particolare attenzione allo spettatore nel suo essere presente e nel condividere un’esperienza che non risiede unicamente nell’atto del vedere, in questo spettacolo ciò è risultato per me evidente. Come dimenticare la sedia simbolo di TESPI che gli attori ci hanno indicato come il “ luogo dello spettatore” a fine spettacolo? La quarta parete è stata infranta, il pubblico è stato chiamato a partecipare al gioco del teatro e sono state così sollecitate le coscienze ad intervenire di fronte all’ingiustizia. “Fratellino fratellina” è uno spettacolo rivolto a tutti i ragazzini, adulti o bambini che essi siano. E’ rivolto a quella parte del nostro essere autentica e incontaminata, tipica dell’infanzia, che ricerca sé stesso nel rapporto con l’altro. Ti invitano a giocare con loro, come i bambini sanno fare. Questo spettacolo racconta di quanto sia difficile oggi diventare grandi e di come gli uomini e le donne abbiano opportunità diverse a causa di una differenza di genere socialmente ancora troppo riconosciuta. Anche il titolo mi ha fatto subito pensare a questo: un nome maschile declinato al femminile, la donna come derivazione dell’uomo e non come entità a sé. Il teatro dell’oppresso serpeggia tra le scene di questo spettacolo, quel teatro che cerca di sollevare le coscienze e le spinge a reagire e ad agire . Alcuni ragazzi presenti in sala, di fronte all’ingiusto esito della prova del quiz hanno fatto sentire flebilmente la loro indignazione, gli adulti lo hanno fatto in silenzio, me compresa, perché hanno riconosciuto la sacralità del contesto. E di ingiustizie si parla in questo spettacolo, che partendo dalla favola di “Hansel e Gretel” arriva ai giorni nostri ponendo l’accento sulla difficoltà che ancora oggi la donna incontra nel processo di emancipazione, nella quotidiana lotta che si trova ad affrontare per affermare la sua identità, prescindendo da ruoli che continuano ad essergli assegnati calati dall’alto di un sistema che ha salde radici negli stereotipi di ciò che ritiene appartenere al genere maschile e femminile e non all’individuo. L’interazione tra spettacolo e pubblico è stata agevolata dalla bellezza conviviale del teatro Cocuje di Jesi dove lo spettacolo ha avuto luogo : platea piccola e raccolta, cuscini colorati ad indicare i posti a sedere, le prove dello spettacolo fatte davanti agli occhi di coloro che erano già lì in attesa che cominciasse la performance ufficiale, l’odore di pietanze in cottura proveniente dalle abitazioni attigue. I pochi elementi in scena sono risultati belli nella loro semplicità ed armonici con il racconto, molti autobiografici per quello che mi è stato raccontato dalla compagnia dopo lo spettacolo, come i k-way rosso e blu, gli zaini e i filmini proiettati della loro infanzia. Le luci hanno avuto un ruolo importante nel determinare tempi e spazi; le immagini proiettate come elemento scenografico hanno avuto un forte richiamo alla contemporaneità così come i suoni. Se lo spettacolo lo avessi visto rappresentato in un teatro piu’ grande o comunque diverso da questo, non avrebbe avuto lo stesso effetto su di me, ne sono sicura! L’accoglienza di quel luogo poi si è rispecchiata anche nell’incontro avuto con gli attori dopo la rappresentazione, i quali sono alla ricerca continua di “impronte” che sono per loro fonte di ispirazione: un processo magmatico ed un prodotto frutto dell’incontro perpetuo con l’altro, con la vita: uno spettacolo continuamente generativo e trasformativo, per chi lo fa e per chi lo vede. Teatro professionale e sociale allo stesso tempo, sapientemente in equilibrio tra arte e vita, affermazione della trasversalità del Teatro Sociale.
Caterina Romani
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