Il Pubblico del teatro sociale

Un padre

‘Ho scritto questo spettacolo perché sono padre e mi sono interrogato su quale tipo di genitore volessi essere. E’ pure innegabile che oggi si assista ad una crisi genitoriale su larga scala.
Tutto questo mi ha spinto a parlare con Massimo Recalcati, che considero un esperto con una visione molto laica, e a scrivere questo spettacolo.
Scrivo quando mi sento ‘ scomodo sulla sedia’, scrivo perché c’è qualcosa che non posso più tenere in me.Trovo che il teatro sia utile a dar voce ad urgenze e che, allo stesso tempo se è buon teatro, mandi a casa lo spettatore con delle domande.
Domande, non risposte.’
Così Mario Perrotta risponde allo Psicologo Gilberto Maiolatesi, in apertura dell’incontro pomeridiano con il pubblico del festival TESPI e prima dello spettacolo ‘In nome del padre’ , in programma domenica 27 gennaio al teatro di Chiaravalle.
A partire dalla propria personale esigenza di padre e da un’osservazione delle problematiche genitori-figli che attraversa la nostra epoca, l’artista analizza con l’amico analista lacaniano Massimo Recalcati sei tipologie paterne considerabili patologiche e largamente diffuse.
Dell’analisi Perrotta si avvale per intessere la drammaturgia di questo spettacolo che scrive, dirige ed interpreta.
Lo racconta egli stesso, ripercorrendo l’intero processo creativo, dalle motivazioni e la ricerca, dalla scrittura scenica in prova aperta, fino alla scelta di tre padri e delle loro disfunzionalità in questo ruolo, che Mario Perrotta indaga e rappresenta.
Tre e’ un numero che ricorre insistentemente nello spettacolo.
Tre i padri, tre i piani di uno stesso palazzo in cui vivono, tre le estrazioni socio-culturali.
Triplice è la ripartizione e l’andamento ciclico che passa per momenti in cui Perrotta parla di fronte al pubblico e i suoi personaggi sfumano l’uno nell’altro nel corpo unico dell’attore, dichiaranti e monologanti, ognuno con la propria peculiare modalità e dialetto.
A questi si alternano con regolarità spazi più ampi di narrazione dialogante, che approfittano di tutta la scena per costruire fisicamente il tentativo di comunicazione con i figli, la relazione problematica con quest’ultimi.
La scenografia stessa consta di tre figure metalliche, tre istallazioni con le quali Mario interagìsce solo con la presenza, con il corpo fermo o in movimento, con la prossimità o la distanza.
Senza attribuzioni letterarie o bibliche, si ha la sensazione che in quest’ordine teatralmente geometrico si cerchi un equilibrio formale che controbilanci o che contenga la sostanza umana e relazionale, problematica fino alla disperazione, dei personaggi/padri.
L’ utilizzo puntuale ed intenso del linguaggio teatrale tutto, anche della musica dal vivo di una chitarra elettrica, sommuove e commuove.
L’artista lo dichiara preventivamente come una propria scelta imprescindibile a qualsiasi narrazione del quotidiano, perché essa non scada nella banalità e si faccia dono per lo sguardo che l’accoglie, perché il teatro si faccia specchio e non chiacchiera, perché sia teatro e non ‘raccontino edificante’.
Ed infatti i tre uomini-mariti-padri si raccontano e sono raccontati in una giornata meno quotidiana solo perché li inchioda al loro non saper essere conformi ai ruoli, alla loro immaturità nelle relazioni.
Un padre-democratico, un padre-figlio, un padre-amico, tipologicamente scelti per possibile assonanza, per tenerezza o per grande attitudine all’essere teatrali; tutti rappresentati per essere esorcizzati e mostrati, per essere ‘non esempi’ di buona genitorialità.
Tutto questo con sguardo lucido, ma non spietato. C’è al contrario molta umanità nel modo in cui Perrotta disegna i personaggi, essi stessi tutti sofferenti in modi difformi; e pure quando un ‘giudizio’ implacabile sembrerebbe impossibile, si avverte pietà per il padre e per i figli.
D’altro canto percepisce quanto il tema sia sentito dall’autore, sia nella presentazione pomeridiana che nella messa in scena.
Appare chiaro come lo spettacolo non nasca da un’intenzione puramente estetica, quanto piuttosto da una ricerca di crescita personale e da un intento di comprendere l’origine di una sofferenza, della rabbia, del disorientamento dei figli del nostro tempo.
Una ricerca che Perrotta non considera conclusa.
‘In nome del padre’ sarà infatti il primo dei lavori di una trilogia annunciata, tutta dedicata alla genitorialità (anche a quella materna), come pure alla tendenza all’essere insistentemente ‘figli’ anche in età adulta.
Non si rintraccia alcun tono didascalico in questo lavoro teatrale né nella presentazione al pubblico che l’autore ne fa, quanto la sua sentita necessità che ci si faccia, come adulti e genitori, delle domande di fondo.
Mario Perrotta lo dice chiaramente: ‘Mi basta che un solo padre così si riconosca ed esca dal teatro facendosi elle domande…’
Questo fa che il teatro di Mario Perrotta sia a pieno titolo un teatro sociale e civile.

Alessandra Giombini

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Come scrivere una recensione

Un evento di Teatro Sociale è diverso da un qualsiasi evento di teatro professionale o qualsiasi attività artistica o di intrattenimento, essendo al centro di questi percorsi sempre la crescita degli individui coinvolti. Il pubblico stesso del Teatro Sociale è diverso e la relazione con gli attori va indagata ogni volta da capo. Una formazione del pubblico è indispensabile per affrontare questo tema: come si guarda uno spettacolo di Teatro Sociale?

Noi proponiamo qui una rapidissima guida:

Distinguere cosa ho provato io, cosa è successo sul palco e in platea.

TE STESSO: Chi sei, come hai conosciuto questo evento, come ti sei sentito, cosa ti ha toccato emotivamente, cosa hai particolarmente apprezzato.

SUL PALCO: come ti è sembrata la storia, come sono stati gli attori (consapevoli, inconsapevoli, divertiti, indifferenti, pienamente coinvolti, felici), come era la messa in scena.

IN PLATEA: Come ha risposto il pubblico (numeroso, poca gente, annoiato, divertito, indisciplinato, rumoroso, attento, indifferente, sentiva il valore).

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