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DONKEY SHOT E PALLA AL CENTRO

Importante vetrina nazionale a Perugia per lo spettacolo “DONKEY SHOT” di ATGTP e RETE DEL SOLLIEVO di Jesi.

Lo spettacolo “DONKEY SHOT”, una produzione ATGTP (Associazione Teatro Giovani Teatro Pirata) e della Rete del Sollievo di Jesi, sarà il 29 giugno a Perugia (Sala Fontemaggiore) tra gli eventi del festival “Palla al centro”, vetrina delle produzioni di Teatro Ragazzi e Giovani delle Regioni Abruzzo, Marche e Umbria con operatori teatrali provenienti da tutta Italia.

In scena, utenti dei servizi socio sanitari del territorio, con la drammaturgia di Simone Guerro e la regia di Francesco Mattioni, Silvano Fiordelmondo e Simone Guerro.
“DONKEY SHOT” nasce da un laboratorio di teatro integrazione della Rete del Sollievo di Jesi ASP Ambito IX, curato dall’ATGTP in collaborazione con Dipartimento Salute Mentale ASUR Area Vasta 2 di Jesi, Cooss e Malati di Niente, per favorire integrazione salute e benessere. Grazie alla vetrina di Palla al Centro, lo spettacolo si propone nel mercato professionale del Teatro, con l’obiettivo di offrite agli utenti della Rete del Sollievo opportunita’ lavorative. 

Lo spettacolo “Donkey Shot” parla di realtà quotidiana e di mulini a vento, di lotte e di sogni, quelli che ciascuno di noi incontra lungo la faticosa strada della costruzione dell’io. Costruendo la propria realtà ci si scontra tra le falsità e le verità di sé stessi in un processo dialettico arduo e pericoloso. A volte sono davvero giganti e noi diventeremo eroi, a volte sono mulini a vento e noi siamo solo Don Chisciotte, Donkey Shot.
La vetrina “Palla al centro”, giunta all’undicesima edizione, si terrà a Perugia nell’ambito di “Gelatine”, il festival per bambini e ragazzi (e non solo) curato da Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale, con diciotto spettacoli e un film in quattro giorni e tre città: Perugia, Spello e Trevi.

Scopriamo di più su Donkey Shot, spettacolo finale del laboratorio di teatro integrazione della Rete del Sollievo di Jesi. Idea della Regione Marche che si è concretizzata con la progettazione e la messa in opera di una rete di servizi a carattere sociale, che possa dare sollievo a chi soffre o ha sofferto per un disagio psichico.

Parliamone insieme a chi ha fatto nascere questo spettacolo e lo accompagnerà  nel futuro: Simone Guerro.

Com’è nata l’idea di Donkey Shot?

L’idea è nata da una collaborazione che va avanti da ormai 5 anni con il “Sollievo di Jesi” (dipartimento di salute mentale) e insieme alla “Associazione Teatro Giovani” e “Teatro Pirata”.

Quest’anno il laboratorio è stato affidato a me, a Silvano Fiordelmondo ed a Francesco Mattioni di Teatro Pirata.

La mia esigenza è stata subito quella di dare un tema e un taglio particolare a questa avventura, volevo che il laboratorio avesse un senso sin dall’inizio, pensavo a un personaggio che ci avrebbe accompagnato fino alla fine: mi piace molto indagare il possibile e l’impossibile, il reale e il realizzabile .

Da “Voglio la luna”, lo spettacolo con Fabio Spadoni (attore con sindrome di down), m’è rimasto sempre un pallino che mi porta ad indagare in maniera più umana e molto pratica.

Quindi Donkey Shot mi sembrava proprio un personaggio che avesse dentro questi due elementi, quello del sogno e quello di riuscire a fare qualcosa di realizzabile.

Questa contraddizione è in questo personaggio e sin dall’inizio ha guidato le nostre attività.

Poi ho chiesto ai ragazzi del laboratorio chi sono e chi si sente “Donkey Shot” e perché, e chi invece ad esempio si sente “Sancho Panza”; così sono arrivati anche i racconti delle loro vite, davvero forti, e abbiamo visto che è un personaggio che entra facilmente nelle loro corde.

Non abbiamo fatto mai il Donkey Shot vero e proprio ma abbiamo preso il suo archetipo da portare avanti e con cui abbiamo raccontato le nostre vite.

Ecco, lo spettacolo è nato da questo e da una chiarezza che volevo avere sin dall’inizio, non volevo perdere tempo, non volevo fare un laboratorio vago ma andare subito nello specifico, anche perché alcuni ragazzi del gruppo lavoravano già da tempo e per me la sfida è quella di portare uno spettacolo che parli di un percorso vero.

Che percorso c’è stato dall’inizio di questo progetto fino allo spettacolo?

È stato un percorso, come tutti i percorsi, unico.

È durato un anno con un gruppo inizialmente molto numeroso: un po’ di loro venivano dalla psichiatria e un po’ dalle scuole superiori.
Poi siamo arrivati ad un gruppo sempre più condensato, anche perché il laboratorio era molto intenso, quindi qualcuno veniva molto toccato ma anche allontanato da questa intensità.

Siamo arrivati alla fine dell’estate con una prova aperta e poi abbiamo rimandato il nostro debutto a settembre\ottobre per il “Festival T.E.S.P.I.”.

La fine di questo percorso è stata segnata da un fatto tremendo, un ragazzo, Massimo, si è suicidato: a seguito di vari problemi aveva smesso di prendere le medicine e purtroppo ci ha lasciati.

Una persona splendida: scrittore, campione di Backgammon,  solare… da un giorno all’altro non c’era più. Questo ha messo in difficoltà tutti quanti, me compreso, ma dal giorno del funerale confrontandomi con i genitori di Massimo, è nata l’esigenza di arrivare fino in fondo, presentare il lavoro. I genitori non conoscevano tutta la parte di Massimo che invece conoscevamo noi, creativa, piena di estro, con delle persone mostrava delle cose e con altri altre. Noi vedevamo la parte più bella.

Quindi un percorso veramente forte: quando tu dai qualcosa non sai l’altro cosa prende, tu lo sposti con il teatro ma non puoi sapere l’altro dove arriva.

Noi siamo sempre stati sicuri di aver fatto un buon lavoro, perché gli psicologi ci hanno sempre riportato un grande feedback, ad esempio persone che non facevano più ricoveri.

C’è la consapevolezza che il teatro fa tanto, però poi c’è anche una parte di indeterminatezza che  dobbiamo sempre tenere in considerazione. Il giorno dello spettacolo abbiamo fatto un ricordo a Massimo, solo per i genitori e gli amici, e poi abbiamo debuttato a Montecarotto quando questo evento è stato un po’ smaltito.

Alcuni dei ragazzi hanno preso ciò che stavano facendo con maggiore valore, altri invece non se la sono sentita più. Alla fine dello spettacolo quando dicono “noi Donkey Shot l’abbiamo conosciuto veramente”, quella è la nostra citazione a Massimo.

Un percorso davvero forte e intenso, che ci ha coinvolto intimamente e che continua a coinvolgerci;  due ragazzi del gruppo, Enrico e Sonia, si sono fidanzati e sposati! Adesso sono in viaggio di nozze e torneranno per fare lo spettacolo a “Palla al Centro”.

Comunque bisogna sempre avere un’estrema delicatezza nei loro confronti, c’è  infatti un rispecchiamento forte perché i dolori di uno sono i dolori di tutti. Comprendi molte cose anche se non le hai vissute, ti senti molto vicino e al contempo ci sono da qualche altra parte delle rotture, che magari non sai… non puoi sapere. Condurre un gruppo così è molto delicato.

Alcune scene dello spettacolo nascono da varie improvvisazioni e da una scrittura che io avevo fatto su di loro: ho scritto delle cose che dicevano in prima persona, e l’ho fatto per dar loro le parole per aiutarli a dire chi sono. Anche il monologo finale di Fabrizio l’ho scritto io e quando lui l’ha letto per la prima volta ha detto proprio…“sono io”.

Quindi mi sono preso la presunzione di dire io il loro “io”, sento molto l’altra persona e tramite le mie parole l’altro può esprimere se stesso, le parole sono un veicolo per far uscire, sono un problema che è stato risolto con l’interpretazione, il testo è la struttura, l’anima ce l’ha messa l’attore. Questa è una cosa inusuale e alle volte anche rischiosa. Lo spettacolo a teatro è stato estremamente commovente e tutti sono venuti a parlare coi ragazzi quando abbiamo fatto un incontro col pubblico. Quasi tutti quelli che sono venuti allo spettacolo sono venuti poi il giorno dopo a incontrarci per parlarne.

Lo spettacolo può essere considerato un punto di arrivo e/o un punto di partenza?

Sicuramente è un punto di arrivo, nonostante nella vita un vero punto di arrivo non esiste mai, ma contemporaneamente è un punto di partenza, perché adesso vogliamo portare in giro lo spettacolo, vogliamo farlo vedere e tenere questo gruppo unito. Ora loro hanno una responsabilità nei confronti degli altri, devono arrivare alle date degli spettacoli sani e in piedi.

È un processo di maturità personale e di crescita.

È un dramma o una commedia?
Questa è una commedia drammatica, è come piace a me vedere le cose, con una parte molto ironica e una parte invece grottesca, che al contempo rivela dolori, lacerazioni e profondità.

Anche il lavoro che abbiamo fatto durante il laboratorio è stato così, un compensare due lati, da una parte essere allegri e ironici ma dall’altra molto seri.

ASSOCIAZIONE PAROLA – IMMAGINE, se ti dico….

Pazzia – Vedo una persona che corre dietro ad una palla, irragionevole, verso qualcosa che non sai quello che è…

Soprusi – Ne siamo pieni, come è piena una torta ne è piena la nostra vita, sin da quando siamo piccoli a scuola, la società, la televisione… ne siamo pieni.

Amore/Dolore – L’amore vero contiene il dolore e lo supera. Il dolore è un’esperienza della vita, quindi direi che c’è una testa e una croce, una luce e un’ombra. Il dolore passa, l’amore no.

Giustizia/Ingiustizia – Questo è un elemento del Donkey Shot molto importante, ci abbiamo lavorato tanto. L’ingiustizia esiste, è una parte della vita che non si controlla e la giustizia è come un desidero, un bisogno.

L’ingiustizia alle volte è inevitabile e bisogna imparare a farci i conti, mentre probabilmente la giustizia è una nostra invenzione e in certi casi non esiste. È qualcosa che non accomunerà mai tutti, più probabilmente esiste un’etica, non una giustizia.

 Mulino a vento – Penso a tutti i ragazzi del laboratorio, a tutti noi, a tutti i racconti che ci siamo fatti, penso a milioni di persone che siamo e a volte tutti quanti abbiamo incontrato un’illusione.

Viaggio – Viaggio è eterno, qualcosa che non finisce mai e che riguarda tutti, tutte le persone, un viaggio continuo, ognuno di noi mette un tassello durante questo grande viaggio. Un treno infinito, ognuno sale e lascia qualcosa.

Quante rappresentazioni avete fatto?

Al momento una, poi replicheremo a “Palla al Centro”, che è una vetrina di teatro ragazzi organizzata dalle compagnie del centro Italia che serve a far vedere le produzioni dell’anno, una vetrina professionale dove gli operatori vengono da tutta l’Italia e le compagnie che vanno in scena sono locali.

Noi abbiamo scelto di partecipare quest’anno con Donkey Shot perché, come dicevamo prima, non è una fine. Finito lo spettacolo c’è la necessità di andare oltre e farlo girare, significa magari farlo diventare un’occasione di lavoro per qualcuno.

Perché portare lo spettacolo ad un festival di teatro ragazzi come “Palla al Centro”?

Decidiamo di portare il nostro lavoro ad un festival di teatro ragazzi proprio perché crediamo che sia importante parlare ai giovani delle scuole superiori. C’è una grande paura di “chi diventerò”, di “chi sarò”, di “cosa farà la vita con me” e quindi riflettere su questo Donkey Shot contemporaneo credo sia veramente utile. Toccare l’umanità delle persone che hanno avuto delle difficoltà nella vita ma che adesso fanno teatro, parlano di sé. Tutti abbiamo delle risorse enormi da poter dare e nell’adolescente c’è un forte bisogno di umanità.

Nel finale dello spettacolo c’è una frase che dice “siete tutti delle pecore feroci”:  significa che le persone non sono né pecore né mostri, ma ti divorano seguendo il gregge, appena qualcuno fa qualcosa di diverso si aggregano, proprio perché sono delle pecore. Penso che sia un discorso molto comprensibile da un ragazzo delle scuole superiori, dovrebbe essere pane quotidiano.

L’idea che non ci siano attori ma persone, rende il tutto molto diverso e forte, perché lì sul palco c’è qualcuno che ha bisogno di dire quelle cose, di trasmetterle.

Qui si riscopre un senso della comunità, non stai guardando una finizione, non c’è qualcuno che lo fa per lavoro, ma qualcuno che lo fa per sopravvivere, per uscirne fuori.

Questo ha un valore inestimabile: quanto costa il valore di una persona?

Noi non saniamo più noi stessi facendo il laboratorio, ma saniamo gli altri. Chi piangeva non erano gli attori, era il pubblico. Bingo! Abbiamo fatto centro. Perché esiste l’altro, facciamo teatro per gli altri, per il pubblico, non per terapia. È fare quello che sei. Questa è la vita, tu fai e l’altro ti vede e ti riconosce.

Ecco che tu cresci. Loro danno tutto se stessi, si mettono a nudo, mostrano chi sono.

Questo è un teatro che fa crescere.

ATGTP – www.atgtp.it
PALLA AL CENTRO – http://www.fontemaggiore.it/ShowCategory.aspx?idc=131

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